Rifrangenze

La coppia

Via Labicana 122

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Ogni critico d’arte ha un suo personale metro di giudizio nel valutare un prodotto artistico e un altrettanto esclusivo corredo lessicale per definirlo. Riguardo all’opera pittorica di Marina Sagramora uno di essi coniò l’espressione “la mistica della mestica”. Ora, il termine mestica, di origine toscana, nell’accezione del Vasari sta ad indicare l’uso che l’artista fa nell’accostare e fondere fra loro le varie tonalità dei colori, in quanto, se questi mancano, si ha il tratto lineare o il disegno, il graffito o l’incisione, ma il risultato che ne deriva è solo un accenno parziale e incompleto della realtà che si vuole raffigurare. Affinché tale realtà venga compiutamente illustrata, il colore è condizione esiziale, insostituibile. Rimane però da definire il termine mistica. In che modo esso si attaglia al lavoro pittorico di Marina Sagramora e ne definisce il nucleo tematico? I quadri che l’artista dipinge presentano oggetti e figure rilevati in scenari che ricordano, sí, la nostra realtà fisica, ma sembrano vibrare di una leggerezza sostanziale che ne denota la natura eterica e la loro scaturigine dai distacchi astrali del sonno, quindi segnati da una essenza onirica imponderabile. Ci portano, le policromíe e gli elementi compositivi dei suoi quadri, espressi in toni mai troppo accesi, mai del tutto umbratili, in una dimensione oltre, dove l’anima anela a risiedere e illuminarsi della Luce sonora che suscitò la vita del mondo e della prima umanità. Se tale è la mistica, allora quel critico aveva ragione.

Fulvio Di Lieto