Alla Galleria “Studio Canova” di Roma
dal 15 al 29 marzo 1996
Mostra Personale “Percorsi del Trasfigurativo”
Nelle vaste sale della Galleria trovano posto 33 dipinti, di grande e piccolo formato.
Fulvio Di Lieto cosí scrive nel catalogo della mostra:
Rem tene, verba sequuntur. L’intera vicenda artistica dell’antichità classica è stata percorsa da questa massima che doveva servire al tempo stesso da monito e regola per i cultori della pratica oratoria in particolare. Essa però rivela quanto fosse vivo e incalzante per gli artisti di ogni ordine e grado l’imperativo di conciliare il rapporto di equilibrio tra forma e contenuto e, nei casi piú felici, di realizzare il perfetto connubio tra questi due elementi, procurandone la coincidenza dei valori stilistici ed espressivi, la perfetta sintesi rappresentativa. Còmpito non facile, che ha visto in questi ultimi tempi gli artisti oscillare, a periodi alterni, tra l’ossequio all’uno o all’altro ordine, eseguendo l’opera ora in un’estrema rarefazione, giungendo al segno, all’astrazione, alla resa ideogrammatica o simbolica, ora cristallizzandola in una fredda icasticità, nell’iperrealismo figurale, con un eccesso di finitezza formale e tecnica. Segnali entrambi di una interiore aridità ideativa cui si perviene quando, sedotti da sirene piú o meno accademiche, ci si incanala in correnti che seguono schemi prefissati.
Peraltro, anche quando nel passato veniva realizzato l’auspicato connubio tra forma ed essenza, posto di fronte al risultato della sua fatica l’artista si rendeva conto di quanto esso fosse inadeguato alle pulsioni creative, “al tormento e all’estasi” sperimentati nel tentativo di riportare nella concretezza materica le suggestioni dell’universo archetipico a lui rivelatosi per rari sprazzi. L’accorata esortazione di Michelangelo rivolta al suo Mosè affinché gli parlasse, benché dato aneddotico, testimonia della frustrazione eccellente dell’artista costretto a prendere atto della sua incapacità a compiutamente illustrare e rendere evidenti i tesori di una bellezza sorgiva a lui accessibili per grazia, prima che per talento.
Negli ultimi due secoli, a causa dei fermenti di iconoclastia suscitati dagli umori rivoluzionari francesi, anche l’arte ha creduto bene d eliminare il problema distruggendone i termini causali: forma e contenuto sono stati del tutto scavalcati in una temperie di sperimentalismi stilistici e tecnici; l’antico assillo di conciliare i due elementi spesso conflittuali si è risolto in un’anarchia di canoni e di metodi, e infine la materia pura e semplice, quale oracolo di contenuti, è stata eletta a unico veicolo dell’ineffabile, a essa sacrificando ogni altro valore ideativo, ogni impulso creativo. Si è finito col far imperare il repertorio materico attraverso la sua lacerazione e i suoi ottusi mutismi.
Inoltre, ogni sperimentazione stilistica è avvenuta nei ristretti àmbiti di correnti, cenacoli o confraternite operative che hanno finito con l’esoterizzare al massimo le metodologie, i criteri, le tematiche e gli strumenti. In tal modo si è negato accesso e cittadinanza a quegli artisti fedeli a una propria linea ispirativa e che operavano in autonomia di realizzazione.
Alla svolta del secolo e del millennio, l’arte si interroga, cerca poli di riferimento all’esterno, tenta con inquietudine di individuare nel gran marasma di stili e tematiche gli “spazi di fuga” verso la scelta ultimativa, quella che per secoli ha fustigato i suoi adepti. Quale risposta dare a tale assillo estetico non meno che etico? Ulteriori sperimentazioni? Nuovi espedienti formali o sofisticati strumenti esecutivi? O ancora, battere la via delle indecifrabili simbologie, delle criptiche significazioni?
Occorre invece capovolgere l’angolo di visuale, la prospettiva ottica, e rivolgere lo sguardo e l’indagine sull’interiorità dell’operatore. Dentro di noi è l’arcano, il soffio, il cliché ideativo, la polla sorgiva, il fiume primigenio cui attingere la linfa che rende l’esternazione interpretativa aderente ai canoni trasfigurativi della realtà. Verbum tene, res sequuntur: ribaltando l’antico dettame, e con questo nuovo senso di visione operativa, la materia è strumento da utilizzare ai fini della sua e nostra sublimazione. Su di essa, modellata e plasmata, o piegata all’intento illustrativo, imprimere il segno, il crisma di quell’energia cosmica recuperata dal suo flusso trascendente, secondo una inderogabile e inalienabile individualità, in consonanza con i valori acquisiti nella personale vicenda umana, culturale e artistica. Ciascuna storia espressiva da valere quale tassello di preziose doti intuitive ed emozionali da apportare nell’elaborazione del grande mosaico finale: quell’“Opera del mondo” alla quale da sempre siamo votati.
Consapevole ditale urgenza e necessità, e sensibile alle istanze morali, interpretative ed espressive che si vanno delineando nello scenario sociale e culturale, in Italia come nel mondo, Sagramora si impegna a rendere il prodotto della sua opera aderente a un personale dettato creativo, affrancandosi quindi da ogni schema e dogma stilistico, da ogni coercizione ideologica e tematica. In tal modo, l’esito della sua ricerca espressiva porta il segno di un’esperienza emozionale e spirituale k vissuta in totale libertà intuitiva ed esecutiva, in ossequio alle pulsioni dell’estro individuale ma con una tenace, quotidiana elaborazione della propria interiorità, cosí da trasfondere nelle opere il risultato ditale lavoro, avendo ben chiaro e certo il traguardo finale ditale gratificante fatica, indicato dall’insegnamento del Maestro: “accendere la folgore celata nella materialità”.
Queste le parole scritte sull’album dei visitatori da Augusto Giordano, giornalista della RAI GR2:
Credo, anzi ne sono certo, che qui al Canova la pittura di Sagramora riesca a far sentire speciali emozioni: in ogni opera si percepisce la grande sensibilità di una persona tesa alla ricerca. L’Io di Sagramora parte dalla sua mente per divenire “realtà di vera pittura”. Sono opere che si vedono muovere: Dio è presente in diverse tele, e dalla Fede nasce ciò che poi diviene pittura artistica. Auguro all’Artista tanti successi. Fulvio Di Lieto ben la presenta sul catalogo, nel quale anche l’indimenticabile Toni Bonavita esprime tutta la sua spiritualità. |