L’Archetipo

Nel settembre 1988 la pittrice, insieme al marito Fulvio Di Lieto, apre uno Studio d’Arte, «L’Archètipo», attivo fino al marzo 1990, in cui dipinge, espone i suoi quadri e periodicamente permette a pittori amici di esporre.

archetipo1 archetipo2Lo Studio d’Arte, che diviene presto un noto centro culturale ove si tengono anche riunioni di poesia e presentazioni di libri, pubblica mensilmente il bollettino «L’Archetipo», che riporta, oltre ad articoli culturali e poesie, il calendario delle mostre in preparazione e i commenti su quelle avvenute.

La sua ideale prosecuzione dà luogo, nel 1997, in modo ampliato, al mensile di ispirazione antroposofica tuttora consultabile su Internet al sito www.larchetipo.com.

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Sempre affollati i vernissage dello Studio, annunciati in cronaca dai giornali della capitale e commentati da riviste specializzate.

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Un commento critico di Nicoletta Prinzi

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Il critico Enzo Sanges diviene assiduo frequentatore della Galleria

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Una presentazione di Maria Teresa Palitta

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Augusto Giordano, della Rai Tv, s’intrattiene con il giornalista Gabriele Cametti Aspri, che in un suo pezzo del 22 gennaio 1990 su Ecomond Press «Le Arti e gli Spettacoli», Speciale Arti visive, cosí scrive:

RITRATTO A MEMORIA

Ho cominciato a frequentare da non molto la Galleria d’Arte “L’Archètipo”. L’abitano, solo cosí posso dire, due persone squisite: Marina Sagramora, pittrice, e Fulvio Di Lieto, poeta; moglie e marito. La gentilezza è il loro pane quotidiano e ci guardano, fin da quando li abbiamo conosciuti, a me e mia moglie, come due vecchi amici. Non dirò le cose di cui abbiamo potuto conversare, nostre e personali. Dirò solo dei quadri di Marina, che evocano un mondo che c’è ma non tutti possono vedere. È il mondo dello Spirito, le strade che ci vogliono per raggiungerlo, cosa vi si trova, e come se ne esce; se se ne esce. Dirò dei cieli di Marina, antichi e misteriosi cieli di preghiera. Come tanto tempo fa, quando non c’erano macchine, e il suono delle campane di una chiesa vicina si poteva ascoltare senza altri rumori che lo disturbassero. Dirò degli alberi che sono Alberi, delle case che sono vere abitazioni dell’uomo, o almeno sogni di un aldilà ritrovato. Dirò degli anfratti in cui sembra tutto si perda, gelosi custodi forse di tesori, anzi, sicuramente, e il silenzio che vi si ritrova è pregnante presenza in sé. Dirò dei dirupi in cui si può cadere e dell’Angelo che è là e che ci mostra una via di luce, suggerita con astrali colori. Dirò infine della preghiera che evolve da due mani giunte, e si rivolge alla persona in preghiera quasi dicesse dolcemente: «Proprio tu mi hai voluta, e così come mi hai voluta io vado a Dio». Potrei dire altro, ma le parole sono limitate esecutrici del desiderio di spiegare un senso dell’iniettabile che qui come in pochi altri pittori contemporanei si trova. Tanto basti.